Il nostro Piano Editoriale interno prevedeva per oggi di parlare di NFT.
Ero tutto contento di affrontare un argomento così insolito, quando è arrivata la doccia fredda.
Non so se ti sia mai capitato di sentire quella canzone di Enrico Ruggeri che diceva:
– “Ti ho visto addentare un panino dentro un autogrill… a volte un dettaglio può uccidere una poesia”…
Ecco, è la stessa sensazione di disincanto che ho provato io alcuni giorni fa quando ho letto questo lapidario parere di Bill Gates sugli NFT:
– “Quello degli NFT è un mercato basato sulla teoria della persona più stupida”
nel senso che ogni persona che investe in NFT per far fruttare il suo investimento deve trovare una persona più stupida di lei pronta a scommettere una quantità di soldi ancora maggiore su questi NFT.
Gates ha inoltre commentato con sarcasmo un’applicazione degli NFT nel mondo dell’arte che consiste sulla vendita di avatar di scimmie:
– “Le costose immagini digitali delle scimmie ovviamente miglioreranno il mondo”.
Insomma: gli NFT non gli piacciono granché.
E questo ci sta.
Ma proviamo a capire cosa siano e a cosa potrebbero servire.
Anzitutto, NFT sta per Non-Fungible Token: Gettone Non Fungibile: ovvero un qualcosa di non riproducibile, non duplicabile.
Sinora chiamavamo “token” le macchinette che usiamo per i bonifici online. Oppure i codici che ci arrivano sul telefonino per accedere ad un certo sito.
Nel mondo digitale, un NFT rappresenta il certificato di autenticità di un bene digitale e la sua proprietà. E’ qualcosa che certifica la proprietà intellettuale online.
Facciamo qualche esempio:
– se scarichiamo una canzone da un sito un po’ spregiudicato, la ascoltiamo illegalmente;
– se ci abboniamo a Spotify, possiamo ascoltarla, ma non è nostra: ne siamo semplici fruitori
– se “marchiamo” la canzone con un NFT, la canzone è di nostra proprietà.
Una delle applicazioni principali degli NFT è nel mercato delle opere d’arte digitali.
Un’altra sono oggetti da collezione utilizzati nei videogiochi (ad es. armi e abbigliamento).
Gli NFT però si possono applicare a qualunque asset digitale: basti pensare che è stato venduto per quasi 3 milioni di dollari l’NFT, ovvero la proprietà, del primo tweet del fondatore di Twitter.
L’NFT più costoso è stato venduto per quasi 92 milioni di dollari. Ma il mercato è fatto da oggettini da poche centinaia di dollari, da un numero molto più esiguo che vale qualche migliaio di dollari al pezzo, fino appunto alle rarità che valgono milioni.
Insomma:
il mondo digitale, nato come il mondo del “copia-e-incolla” e delle copie “piratate”, adesso si è creato un meccanismo di certificazione della proprietà di qualunque oggetto digitale.
E in concreto, a noi cosa possono servire gli NFT?
Dipende.
Puoi diventare un collezionista/investitore di NFT e “azzeccare” l’acquisto giusto per poi rivenderlo, guadagnandoci.
Oppure, se hai un oggetto digitale che desideri rendere inequivocabilmente TUO, puoi crearti un NFT dell’oggetto e poi metterlo in vendita.
Tutto questo servirà a qualcosa?
O non servirà a niente?
Rimarrà nel tempo?
Oppure è solo una bolla speculativa destinata ad esplodere o a sgonfiarsi?
Bill Gates, come abbiamo visto all’inizio, non ci crede.
Di solito azzecca le previsioni, ma a volte anche i grandi visionari sbagliano.
Quindi è presto per dire quale sarà il futuro degli NFT .
Di sicuro la convergenza con le tecnologie del metaverso, delle criptovalute e del
blockchain lasciano presagire che ne sentiremo ancora parlare.
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